E BRESCIA CHIEDE DI CONTINUARE A INDAGARE SU...

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INES TABUSSO
00venerdì 20 luglio 2007 14:52


CORRIERE DELLA SERA
20 luglio 2007

Caso Abu Omar, iniziativa dopo l'esposto del senatore a vita. Chiesto altro tempo
Cossiga fa indagare De Gennaro e Minale
Segreto di Stato, inchiesta a Brescia anche su Pomarici e Spataro

Luigi Ferrarella

MILANO - Tutti e sette sotto indagine per un'ipotesi di reato gravissima, e candidati a rimanerlo altri mesi sulla base solo dell'esposto nel 2006 del presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. A metterli in fila uno accanto all'altro, non sfigur erebbero nella locandina, a ruoli rovesciati tra inquirenti e inquisiti, della parodia di un film tipo «I soliti sospetti »: il capo della Procura di Milano, Manlio Minale, il capo (fino pochi giorni fa) della Polizia, Gianni De Gennaro, il giudice delle indagini preliminari Enrico Manzi, i due procuratori aggiunti (vice di Minale) Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, i dirigenti della Digos milanese Ignazio Coccia e Bruno Megale.
E invece, non nell'universo cinematografico ma nella realtà giudiziaria a volte non meno arzigogolata, il risultato burocratico-formale, originato dalla combinazione tra l'esposto di Cossiga e l'automatismo che la Procura di Brescia interpreta nel trattare gli esposti, surclassa i sogni più reconditi di generazioni di banditi, mafiosi, terroristi: i sette magistrati e poliziotti, infatti, formalmente risultano indagati (e per la Procura di Brescia, che chiede una proroga di indagini, dovrebbero restarlo ancora altri sei mesi) per il reato di «procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello Stato» in forza del fatto che Cossiga nell'agosto 2006 li ha accusati di aver violato il segreto di Stato nell'indagine sul rapimento di Abu Omar, sfociata poi nel rinvio a giudizio di 26 agenti Cia e 5 dirigenti del Sismi (compresi il direttore Nicolò Pollari e il numero tre Marco Mancini) per concorso nel sequestro di persona dell'imam.
L'esposto di Cossiga, prima annunciato, poi ritirato, infine reillustrato di persona dal presidente emerito il 4 agosto 2006 in 4 ore di colloquio con i pm bresciani («Essere interrogati da una persona come il procuratore Tarquini e i due suoi sostituti - si congedò poi ai giornalisti Cossiga - serve a rafforzare la fiducia nella magistratura inquirente italiana»), era bastato per procedere all'iscrizione nel registro degli indagati di tutti i denunciati da Cossiga. Qualcosa di simile era accaduto sempre a Brescia nel 2003 ai pm Boccassini e Colombo, indagati nei processi a Previti su denuncia di un «Comitato per la giustizia» e archiviati parecchio tempo dopo.
Adesso Tarquini e i suoi sostituti Chiappani e Piantoni chiedono al gip la proroga delle indagini con due motivazioni.
La prima è che hanno bisogno ancora di tempo per acquisire (impresa che in sé non parrebbe improba) il ricorso del governo Prodi alla Corte Costituzionale nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sollevato dall'Avvocatura dello Stato contro l'Ufficio gip del Tribunale e la Procura di Milano relativamente alla contestata violazione di un segreto di Stato (mai ufficialmente opposto ai magistrati da alcuno nel corso delle indagini) attraverso l'intercettazione di utenze Sismi o domande di interrogatori.
La seconda ragione è che, per definire la posizione dei sette denunciati da Cossiga, secondo i pm bresciani sarebbe necessario attendere almeno fino alla decisione della Corte Costituzionale.
Questa seconda motivazione è stata peraltro già disattesa con la recente bocciatura, da parte del gip di Brescia, della richiesta di proroga delle indagini avanzata dai pm in un altro procedimento parallelo a questo, nel quale la Procura di Brescia, su denuncia dell'ex capocentro Sismi di Trieste, Lorenzo Pillinini, ha indagato anche Spataro e Pomarici per violazione del segreto in relazione alla pubblicazione da parte di alcuni giornalisti (pure indagati) di atti d'indagine nella disponibilità dei difensori e depositati al Tribunale del Riesame: proprio l'altro giorno, il gip di Brescia ha infatti negato la proroga ai pm, che avranno 10 giorni per concludere in un senso o nell'altro l'inchiesta, e che già in passato si erano visti dichiarare «illegittimi» i sequestri di computer di giornalisti attuati con modalità poi censurate dal Tribunale del Riesame e dalla Cassazione.

lferrarella@corriere.it>


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