NOTIZIE DA FURBETTOPOLI

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INES TABUSSO
00mercoledì 14 dicembre 2005 16:37
CORRIERE DELLA SERA
14 dicembre 2005
L'ordinanza del giudice
«Rubavano a tutti i clienti»
«Un modo per ripianare le perdite». Patrimoni personali enormi grazie alle scalate illecite

La banda Fiorani [1] si arricchiva accumulando «patrimoni personali enormi» anche grazie alle scalate illecite. E a pagare i danni era la massa dei risparmiatori: clienti onesti della banca che subivano tanti piccoli ammanchi. «Spese» e «commissioni» inventate dai vertici della Popolare di Lodi per coprire le perdite in Borsa, ripianate in via provvisoria perfino con prelievi abusivi dal caveau. Con casi limite di furti dall’eredità dei clienti morti.

L’ordinanza di arresto del banchiere Gianpiero Fiorani, dei suoi due più stretti collaboratori e di due riciclatori italo-svizzeri racconta la storia di un’«associazione per delinquere» imputata di «innumerevoli reati» concatenati in due fasi logiche. Prima tappa, accumulare il bottino. Con manovre di aggiotaggio e insider trading. Le informazioni privilegiate sulle future acquisizioni, come la scalata tentata ad Antonveneta, garantiscono sicuri profitti a una cerchia di clienti privilegiati. Raccomandati che poi restituiscono in nero fino a due terzi del bottino a Boni e Fiorani. Quindi i soldi - a colpi di «decine di milioni di euro» - finiscono su conti esteri e società offshore, che li reinvestono in Italia, soprattutto in speculazioni immobiliari finanziate dalla stessa Lodi, moltiplicando così i patrimoni illeciti.

Quando però in Borsa va male, Boni e Fiorani ordinano ai cassieri di ripianare le perdite prelevando i soldi direttamente dal caveau. Il buco così creato viene ricoperto «spalmando», cioè dividendo il passivo sui conti di gran parte e forse di tutti i clienti onesti. Le singole ruberie sono modeste - spese bancarie per pochi euro, aumenti eccezionali delle commissioni, addebiti di bollette o pagamenti inesistenti - per cui gli ignari risparmiatori, che si fidano della banca, non se ne accorgono. A segnalare gli ammanchi nel caveau è anche l’ultima ispezione di Bankitalia, mentre le precedenti missioni degli 007 del governatore Fazio avevano ignorato questi «buchi». La «banda Fiorani» usava i depositi dei clienti onesti anche per «parcheggiare», attraverso conti di transito, i profitti illeciti delle scalate.

I risparmiatori diventavano ricchi a loro insaputa e perdevano tutto senza saperlo. Una «gola profonda» dell’inchiesta ha raccontato ai pm milanesi che c’era perfino «il sistema dei clienti morti». E ha fatto l’esempio: il conto del cliente X viene caricato di capital gains a sua insaputa; quando il depositante muore, quei soldi non finiscono agli eredi, ma vengono sottratti dalla solita «banda nella banca». Nell’ultimo interrogatorio l’ex banchiere Fiorani si è visto contestare di aver nascosto all’estero «circa 70 milioni di euro» addirittura «fino all’ottobre scorso». Soldi finiti su conti offshore di Singapore e Jersey. Di fronte all’accusa di aver occultato il bottino perfino dopo le intercettazioni e il blitz dei pm, Fiorani non ha fatto una piega: «Era per stare più tranquillo».


Nel nuovo atto d’accusa dei magistrati compare anche il reato bancario di «aver concesso finanziamenti a tassi agevolati e senza garanzie a società di cui Fiorani era socio occulto o a suoi prestanome». Di aver venduto «beni sociali a danno della banca e in conflitto d’interessi». E di aver garantito ai pochi clienti privilegiati «operazioni sui derivati con utili per il correntista e perdite per la banca». Per il primo grande testimone d’accusa dell’inchiesta Antonveneta, Egidio Menclossi, qualcuno è invece arrivato alle «minacce di morte»: lettere anonime con tanto di «teschio e ossa incrociate».
Paolo Biondani Fiorenza Sarzanini


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PROVVEDIMENTI
«Fiorani, soldi ai politici e complici tra i controllori»
Arresti per il banchiere e altri quattro, 80 indagati. «Patrimoni enormi grazie alle scalate illecite»
MILANO -La «banca illegale» dentro la Banca Popolare di Lodi? Le appropriazioni indebite per almeno 100 milioni di euro, alle quali sarebbe stata finalizzata l’associazione a delinquere che ieri ha portato in carcere l’ex patron Gianpiero Fiorani e due ex dirigenti dell’istituto (con due finanzieri italosvizzeri pure destinatari di altrettanti ordini di arresto ma per riciclaggio), «non sono servite solo ad arricchimenti personali» di Fiorani & C., ma anche a finanziare «uomini politici di livello nazionale». Per la prima volta lo racconta, dall’interno della banca, un (ex) uomo della banca: Donato Patrini, già responsabile regionale di Bpl in Toscana, teste che il giudice delle indagini preliminari Clementina Forleo, nell’ordinanza di custodia cautelare per Fiorani eseguito ieri sera, definisce «attendibile».
I nomi dei politici, però, o almeno di «questi» politici, agli atti per adesso non compaiono: i pm Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, infatti, li hanno coperti già nella loro richiesta di misura cautelare con numerosi «omissis», parimenti ripresi dall’ordinanza del gip. Documento che invece richiama altri tre parlamentari: due direttamente, come titolari di conti correnti adoperati per alcune delle operazioni di trading sotto la lente della magistratura, e cioè il senatore di Forza Italia e presidente della commissione Lavori pubblici, Luigi Grillo, e il vicepresidente dei senatori dell’Udc, Ivo Tarolli, negli scorsi mesi tra i più accesi difensori pubblici della correttezza del governatore di Banca d’Italia, Antonio Fazio, e del progetto di «banca padana» vagheggiato da Fiorani; e uno indirettamente, il sottosegretario alle Riforme istituzionali Aldo Brancher, «pontiere» storico di Forza Italia verso la Lega, quale marito di una delle correntiste beneficiate dalle generose (e fortunate in termini di redditività) aperture di credito della Bpl.
Come già nei provvedimenti estivi con i quali aveva sospeso dalle cariche societarie non solo Fiorani ma anche i principali coindagati per aggiotaggio nella scalata Antonveneta (e cioè il finanziere Emilio Gnutti e l’immobiliarista Stefano Ricucci), il gip Forleo non è tenera nei confronti del governatore Fazio, pur non nominato espressamente. Ma non è arduo riconoscerne l’identikit laddove il gip addita «le complicità interne ed esterne» di cui avrebbe goduto Fiorani, ascrivendo le seconde ai vertici delle autorità di controllo che, nel nome di una pretesa «difesa dell’italianità» del sistema bancario (proprio il cavallo di battaglia di Fazio), avrebbero in realtà finito per proteggere di fatto gli illeciti commessi in banca e dalla banca.
A pesare molto per l’arresto ieri di Fiorani (in carcere con l’ex direttore generale Gianfranco Boni, mentre per motivi di età è stato posto agli arresti domiciliari l’ex dirigente in pensione e «tesoriere» personale di Fiorani, Silvano Spinelli) sarebbero stati i circa 70 milioni di euro che l’accusa contesta al banchiere di aver negli ultimi mesi movimentato («per stare più tranquillo», avrebbe spiegato in un interrogatorio Fiorani), a inchiesta già in corso, tra Jersey e Singapore.
Nella notte gli uomini della Guardia di Finanza hanno poi arrestato anche Fabio Massimo Conti, uno dei gestori del fondo «Victoria&Eagle» coinvolto nella fallita scalata di Fiorani ad Antonveneta, indagato per l’ipotesi di riciclaggio al pari del finanziere Paolo Alberto Marmont, pure destinatario di un ordine di arresto. E, in più, una decina di clienti della banca, usati per le operazioni «sicure» che prevedevano però la restituzione a Fiorani dei due terzi dei profitti illeciti ricavati, sono andati ad aggiungersi agli indagati dei vari filoni, ormai prossimi a 70/80.
Luigi Ferrarella Giuseppe Guastella


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Fazio: noi non c’entriamo, ho la coscienza a posto
E ai suoi fedelissimi dice: io ho sempre applicato la legge con totale correttezza
ROMA - «Ho la coscienza a posto, ho sempre applicato la legge con correttezza. Se Fiorani ha commesso illeciti, noi non c’entriamo nulla»: Antonio Fazio, rientrato in Banca d’Italia in serata dopo il pranzo in Consob e alcuni colloqui privati, ha commentato così con i suoi collaboratori l’arresto dell’ex numero uno della Popolare di Lodi, Gianpiero Fiorani. Il Governatore, racconta chi l’ha visto dopo l’arrivo della notizia, era comunque molto teso e ha parlato ripetutamente al telefono con i senatori Luigi Grillo (Forza Italia) e Ivo Tarolli (Udc), considerati suoi fedelissimi. I rapporti stretti tenuti negli ultimi anni con il banchiere di Lodi diventano ogni giorno per lui più imbarazzanti. «Fazio non teme certo di essere coinvolto direttamente. Anzi la revoca dell’autorizzazione all’Opa della Popolare di Lodi su Antonveneta testimonia la buona fede. Quando Bankitalia si era resa conto che c’era qualcosa che non andava, è intervenuta - dice un alto dirigente di Palazzo Koch considerato vicino al Governatore -. Fazio però è preoccupatissimo per le conseguenze indirette».
Intanto per il possibile coinvolgimento di persone a lui vicine. Ma soprattutto, a quanto pare, per le ripercussioni della vicenda dei regali preziosi (orologi griffati, gioielli extralusso) avuti negli ultimi anni da Fiorani. Il codice deontologico dei banchieri centrali europei vieta di ricevere omaggi di valore dai vigilati. La Bce finora su questo fronte non è intervenuta a livello ufficiale, anche se sarebbe già stato aperto un dossier per raccogliere informazioni. E alla luce dell’arresto di Fiorani, Francoforte potrebbe essere costretta ad occuparsene.

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La compagnia delle Coop
Consorte:Fiorani? Se ha sbagliato, paghi
«Spero naturalmente che ci siano motivi veri, seri e dimostrati, per quello che sta accadendo». «Opa, noi andiamo avanti»

MILANO — «Noi andiamo avanti per la nostra strada. E con il nostro progetto, che è ambizioso e di taglia europea. E assolutamente praticabile. A-sso-lu-ta-men-te». Giovanni Consorte scandisce al telefono la determinazione a portare avanti l'Opa Unipol sulla Bnl. Ha saputo le ultime notizie, della bufera giudiziaria sulle scalate bancarie che ha portato in serata all'arresto di Gianpiero Fiorani: «Ho sentito. Mi dispiace per le persone... Ma se hanno sbagliato è giusto che paghino. Spero naturalmente che ci siano motivi veri, seri e dimostrati, per quello che sta accadendo. Ma questo non c'entra niente con la nostra operazione», ribatte. E' a tavola Consorte, dopo una giornata che si intuisce impegnativa. Prima a Bologna in Procura per l'annunciato esposto della compagnia contro ignoti, poi in Bankitalia... «No. Non ci sono stato a Roma. Sono stato per tutto il giorno nel mio ufficio, in via Stalingrado 45». Dunque il vertice con la Vigilanza... «E' un'altra delle falsità che ci riversano addosso ormai da cinque mesi. Ma simili notizie falsano l'andamento dei titoli, è aggiotaggio». Un fiume in piena. Se poi un vertice con Bankitalia, che ha le ore contate per far partire l'Opa Bnl, in qualche modo si sia tenuto, non c'è modo di accertarlo con il diretto interessato. Le cronache che arrivano da Roma riferiscono invece di un summit di oltre due ore tra i vertici della compagnia e i tecnici di via Nazionale.

Nel pomeriggio — presenti Giovanni Castaldi e Claudio Clemente della Vigilanza, i «ribelli» che hanno contrastato la scalata della Lodi ad Antonveneta, ma non Antonio Fazio, rappresentato dal funzionario Giovanni Carosio — si sarebbe tornati ad affrontare il punto: via Nazionale è pronta a dare il via libera all'offerta Unipol o intende procedere con un supplemento d'indagine, magari in attesa che Consob si pronunci con gli ultimi accertamenti? A istruttoria quasi conclusa, Consob, secondo alcune fonti, si appresterebbe a chiedere addirittura la revisione del prezzo dell'Opa, sopra gli attuali 2,7 euro per azione. Il governatore ieri era invece ospite del presidente della Commissione, Lamberto Cardia. Una colazione fissata da tempo, si sono affrettati a far sapere, nell'ambito degli incontri periodici tra Autorità, alla quale hanno preso parte l'intero direttorio e i commissari di via Martini. Tuttavia, l'appuntamento ha assunto malgrado le intenzioni tutta l'aria di un vertice sul caso Bnl. E l'esito sarebbe ancora interlocutorio.

Consorte invece insiste: l'Opa Unipol si può fare. «Ma è cambiata la strategia — avverte — ribatteremo in tutti i modi e in tutte le sedi alle bugie e alle falsificazioni. Siamo stati zitti finora perché l'unica cosa che contava era il rapporto con gli organi di controllo, ora ribatteremo punto su punto». Ne ha per tutti Consorte. A seconda dell'interlocutore: «Mi hanno associato alla scalata all'Rcs. Ma non ci è mai passato nemmeno per la mente». Ma c'è dell'altro: Consorte dice di aver fatto un bell'elenco di cose non vere: «Sono quasi 60. Le illustreremo nelle sedi opportune. Mi attaccano con delle falsità, la vedremo. E se non ce la fanno fare (l'Opa, ndr), li porterò in giudizio. Davanti alle Procure di mezza Italia».
Carlo Cinelli

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CONTRO L’OFFERTA
Il leader della Cgil: per le coop un passo più lungo della gamba
Che alla Cgil la scalata bancaria della compagnia delle coop non sia mai andata a genio, lo si sapeva. Ma ieri, mentre a Milano si scatenava il nuovo terremoto giudiziario sui «takeover» del 2005 (e a Bologna Giovanni Consorte ribadiva la sua intenzione di andare avanti sull’Opa Bnl) il leader della confederazione, Guglielmo Epifani, non risparmiava una nuova bordata critica. Con l’osservazione che l’Unipol non abbia le dimensioni per conquistare la banca romana. «Non ho mai messo in dubbio che la compagnia fosse in diritto di fare operazioni finanziarie - ha detto il segretario del primo sindacato italiano, intervistato dalla trasmissione Omnibus di La7 - ma mi è sembrato un passo più lungo della gamba». La società guidata da Consorte e Ivano Sacchetti, freschi «indagati» dalle procure di Milano e della Capitale, sarebbe insomma «troppo piccola per la scalata Bnl, cosa che ha bisogno anche di molti investimenti». Di tutt’altro genere invece, in campo Ds, i giudizi espressi dal senatore Cesare Salvi. In primo luogo, ha sostenuto, «saggezza e prudenza» vorrebbero che le forze politiche non si schierassero da una parte o dall’altra «per tutto quello che riguarda il sistema degli affari e dell’economia». Mentre, nel merito dell’autorizzazione che deve arrivare da Palazzo Koch, «è possibile che la decisione che la Banca d’Italia dovrà prendere sia contestata. E possa apparire non oggettiva per l’esposizione del Governatore». Su prezzo dell’Opa e criteri di solidità di Unipol è tornato anche il presidente della stessa Bnl, intervenuto all’assemblea della Legacoop. Luigi Abete ha confermato tutte le perplessità espresse a suo tempo, ma ha concordato sulla necessità di non perdere più tempo. «Le cose vanno fatte presto e bene, nessuno dei due avverbi deve avere la priorità sull’altro», ha detto. Secca la replica di Consorte: «Tra correttezza e tempestività Unipol ha dimostrato di privilegiare la prima rispetto alla seconda, visto che sono oltre quattro mesi e mezzo che aspetta».
Paola Pica

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Tabacci accusa: D’Alema ha coperto politicamente la compagnia
«I furbetti del quartierino? Non solo Ricucci e soci: sono l’Abi, l’Ania, la Confindustria»
ROMA - «Le 44 richieste di rinvio a giudizio per il crack della Cirio sono di oggi, ma io denunciai il caso nell’aula della Camera nel 2003. In perfetta solitudine. E poi ho continuato ad essere da solo sui bond argentini, sulla Parmalat, sulle Opa incrociate di quest’estate. Adesso arrivano anche i primi arresti e sarebbe troppo facile dire che avevo ragione. In realtà provo un senso d’angoscia». Bruno Tabacci (Udc), presidente della commissione Attività produttive, parla alla presentazione del libro "I furbetti del quartierino" (editori Riuniti), scritto dal giornalista Michele Gambino e dal presidente dell’Adusbef Elio Lannutti, che hanno ricostruito le battaglie finanziarie della scorsa estate intorno ad Antonveneta, Bnl ed Rcs. Tabacci, come dice lo stesso Lannutti, è ormai «la coscienza critica del centrodestra». Ma forse è anche qualcosa di più. Tanto che spesso dal centrosinistra lo esortano: «Ma cosa ci stai a fare nella Casa delle libertà, vieni con noi». E così non meraviglia che Andrea Annunziata, responsabile consumatori della Margherita, anche lui alla presentazione del libro, si spertichi in lodi per Tabacci e che l’intervento di Cesare Salvi, della sinistra Ds, sia sulla stessa lunghezza d’onda di quello del dirigente dell’Udc.
Lui, Tabacci, richiamandosi alla Costituzione, ci tiene a qualificarsi un parlamentare «senza vincolo di mandato» e che quindi non risponde agli interessi dei partiti e tantomeno dei loro leader, ma dei cittadini. Non solo. Aggiunge che, a 59 anni, l’exploit della sua carriera lo ha avuto nella prima Repubblica, quando democristiano (della sinistra) fu presidente della Regione Lombardia dal 1987 al 1989. «Poi, questa mia avventura nella seconda Repubblica è stata solo una sfida con me stesso». La sfida di un personaggio scomodo - oggi per il centrodestra, ma domani lo sarebbe anche per un eventuale maggioranza di centrosinistra - che non ha nulla da perdere. Per questo può permettersi di attaccare indifferentemente il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, che secondo Tabacci ha fatto gli interessi del suo sistema di potere anziché quelli dei cittadini («continuano a pagare conti correnti tra i più cari al mondo»), come il presidente dei Ds, Massimo D’Alema: «Che ha coperto politicamente il presidente dell’Unipol Giovanni Consorte nell’Opa su Bnl mentre criticava quella su Antonveneta come se non si trattasse sempre della stessa compagnia di giro». E come se non fosse bastata la lezione Telecom, aggiunge.
Anche in quella scalata, compiuta con D’Alema a Palazzo Chigi che benediceva la "razza padana" dei Colaninno e Gnutti - lo stesso Gnutti coinvolto nelle Opa di questa estate -, secondo Tabacci, «lo schema era lo stesso dei furbetti del quartierino: Fazio che avallò l’operazione non facendo votare nell’assemblea che doveva opporsi alla scalata né il fondo pensione della Banca d’italia né le popolari azioniste di Telecom». È lì, continua, che «la politica comincia a subire un gioco sporco sui quattrini fatti alle spalle dei risparmiatori: che cosa sono infatti le privatizzazioni senza liberalizzazioni che hanno consegnato le banche, le autostrade, le telecomunicazioni ai monopolisti privati che possono così fare bilanci d’oro sulle tasche della gente che non riesce ad arrivare alla fine del mese?». Insomma, teorizza Tabacci, «i furbetti del quartierino» non sono solo Ricucci (involontario donatore, con la celebre frase intercettata dalla Guardia di Finanza, del titolo del libro di Gambino e Lannutti), Fiorani e soci.
«I furbetti sono molti di più: l’Abi, l’Ania e la Confindustria, con le grandi imprese debitrici di riferimento del sistema creditizio, che all’inizio si opponevano alla riforma del risparmio. Sono le banche, che hanno come prima preoccupazione quella di controllare i giornali». La doppia Opa della scorsa estate «si intreccia infatti col tentativo di scalata alla Rcs, editrice del Corriere della Sera , che ha avuto coperture politiche trasversali e si è mossa sul presupposto che una Fiat in difficoltà fosse costretta a vendere la sua quota in Rcs a Ricucci». Ma i furbetti sono anche «i governi di qualsiasi colore che hanno tollerato un livello di evasione e di economia in nero che raggiunge il 30% del Pil. E poi dicono che le tasse sono alte? Ma alte per chi? Solo per chi le paga. Noi italiani, insomma, siamo campioni mondiali di furbizia».
Finanza e Partiti
Enrico Marro


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[1]
Il personaggio
Il banchiere-raider all'ombra del Governatore
Gianpiero Fiorani passerà alla storia per aver inaugurato il melodramma dell'Antonio Fazio

Ha giocato la sua carriera comprando banche. Ma non sarà ricordato come raider o scalatore. Né per aver detto di sé: «Non finirò all'inferno, ma mille anni in purgatorio». No. Gianpiero Fiorani passerà alla storia per aver inaugurato il melodramma del Governatore. Sono le 00.12 del 12 luglio 2005: Antonio Fazio ha firmato il via libera all'Opa della Popolare di Lodi su Antonveneta e telefona a Fiorani. Il quale reagisce così: «Tonino, sono commosso. Ho la pelle d'oca, ti darei un bacio in fronte». Ecco le parole che consegneranno il banchiere arrestato alla storia. Di lui si sapeva già che era il pupillo del numero uno di Bankitalia. Ma la telefonata testimonia una inaspettata intimità.

Intimità familiare. Perché le intercettazioni hanno rivelato al pubblico anche la relazione tra Fiorani e la moglie del Governatore, Maria Cristina Rosati. Il 24 giugno la signora Fazio rassicura il banchiere. Che le dice: «Tu sei l'aquilone. Devi volare alto». E il 18 luglio i due parlano di un versamento. A chiarire sarà il senatore Luigi Grillo: «5 mila euro di beneficenza per i legionari di Cristo, nelle cui file milita la signora». E del resto la più giovane figlia di Fazio, Maria Chiara, ha preso i voti in settembre in un ordine femminile vicino agli stessi Legionari. Lo aveva preannunciato sempre Grillo. Il quale da due anni ha un conto presso la Lodi e un fido di 250 mila euro. Fiorani è di casa da Antonio e Maria Cristina. E' stimato dal figlio di Fazio, Giovanni, che parla di lui come uno dei migliori top manager del credito. Ma il banchiere che il Governatore ha scelto per difendere l'italianità di Antonveneta contro gli olandesi dell'Abn Amro è anche accorto nella scelta di presenti per la famiglia. Del tipo: una stilografica e una tv per il Governatore; collane e braccialetti d'oro per le figlie; un orologio per la signora Maria Cristina; qualche pezzo di argenteria. Una piccola montagna di omaggi che, prim'ancora di essere tributi del controllato al controllore, testimoniano familiarità.

Una consuetudine già esibita. Nelle passeggiate che hanno seguito il Forex. Nel 2002 la «prima» a Lodi, quest'anno a Modena: Fazio cammina con i suoi banchieri prediletti. A braccetto. Solo con una differenza: Fiorani e Gnutti ci sono sempre. Mentre Cesare Geronzi di Capitalia la seconda volta non compare. C'è dunque solo lui, «Gianpi», come lo chiama Maria Cristina. E' il massimo riconoscimento per la scalata: in banca, alle banche e al cuore di Fazio. Un tributo meritato. Perché il banchiere di Lodi ha sempre risposto sì al Governatore. E ha azzeccato le operazioni «giuste». Come quando quest'anno ha salvato il Credieuronord, banchetta della Lega, guadagnando per sé e Fazio il sostegno dei Lumbard.
Una mossa che rappresenta solo un capitolo della sua ascesa, a lungo inarrestabile. «Gianpi». 46 anni, comincia 28 anni fa «per caso» da bancario e diventa subito banchiere. Il takeover al potere ha inizio con l'acquisto della Rasini, di cui è stato direttore il padre di Silvio Berlusconi. Poi, con lo shopping di 21 istituti, «moltiplica» la Lodi. Finché la corsa si interrompe alle porte di Antonveneta. E lui, che ribattezza la banca in Popolare italiana, non passerà alla storia per aver salvato l'italianità del credito. Ma per per essere stato il banchiere del bacio, il più vicino a Fazio.
Sergio Bocconi


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GLI ALTRI PERSONAGGI

GIANFRANCO BONI
Gianfranco Boni, nato a Lodi nel 1958, è stato direttore finanziario della Banca Popolare di Lodi all'epoca
in cui Gianpiero Fiorani governava l'istituto. Uomo fidato del presidente e ad, Boni era in particolare l’artefice delle operazioni interne alla banca

FABIO CONTI
Anche Fabio Massimo Conti, italo-svizzero, uno dei gestori insieme con Paolo Marmont, del fondo Victoria&Eagle (tra i fondi utilizzati per la scalata della Banca Popolare di Lodi all’Antonveneta) è stato arrestato ieri sera nell'ambito dell'inchiesta sulla scalata fallita ad Antonveneta. L'accusa nei suoi confronti è di riciclaggio.

SILVANO SPINELLI
Silvano Spinelli, ex dirigente di Bpl, era l'uomo di fiducia di Fiorani e, secondo l'ex dirigente di Bpl Suisse Egidio Menclossi,
(«supertestimone» dell'inchiesta), «è da anni impiegato da Fiorani per operazioni di carattere riservato per conto di alcuni importanti clienti della banca»

PAOLO MARMONT
L’italo-svizzero Paolo Marmont, gestore insieme a Fabio Conti del fondo delle Cayman, Victoria&Eagle (uno dei principali azionisti della Bpi ma in realtà controllato dallo stesso istituto), è accusato di riciclaggio. Fino a tarda sera gli investigatori hanno tentato di rintracciarlo per eseguire anche nei suoi confronti l’ordine di custodia cautelare in carcere


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LA VICENDA

Salgono a tre i filoni di inchiesta della procura di Milano
Antonveneta: le tappe della vicenda
Tutto iniziò il 17 gennaio, quando la Bpi annunciò di aver superato il 2% del capitale dell'istituto di credito veneto

17 gennaio: la Banca popolare italiana-Bpi (ex Banca popolare di Lodi, Bpl), istituto guidato Giampiero Fiorani, annuncia di aver superato il 2% nel capitale di Antonveneta. In realtà poi la Consob chiarirà che la Bpl aveva iniziato a rastrellare azioni sin dal novembre precedente attraverso finanziamenti a società alleate.
2 maggio: la procura di Milano avvia le indagini sulla scalata all'istituto veneto e apre un fascicolo contro ignoti per aggiotaggio sulla scalata di Bpl ad Antonveneta
17 maggio: Giampiero Fiorani, Emilio Gnutti e altre 21 persone vengono iscritte nel registro degli indagati dalla procura milanese
8 giugno: il tribunale di Padova sospende il Cda di Antonveneta
4 luglio: la procura di Roma iscrive nel registro degli indagati Francesco Frasca, responsabile della vigilanza di Bankitalia
12 luglio: il nome di Fiorani appare anche nel registro degli indagati della procura romana
15 luglio: anche Francesco Frasca finisce nel registro degli indagati della procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta Antonveneta
25 luglio: i pm milanesi sequestrano tutti i titoli dell'istituto padovano detenuti da Bpi, e dai concertisti, gli alleati Emilio Gnutti, Stefano Ricucci, i fratelli Lonati e Danilo Coppola. Dal decreto che dispone il sequestro delle azioni emergono alcune intercettazioni di una telefonata tra il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, e Fiorani, che secondo i pm è la prova di un accordo fra i pattisti, che avrebbero rastrellato azioni Antonveneta attraverso società finanziate da Bpl
2 agosto: il gip Clementina Forleo convalida il sequestro delle azioni in portafoglio ai concertisti e notifica anche la misura interdittiva nei confronti di Fiorani e del direttore centrale finanza, Gianfranco Boni
16 settembre: Fiorani si dimette dalla carica di amministratore delegato di Bpl. La decisione arriva dopo una nuova ipotesi di reato a suo carico. Oltre che di aggiotaggio insider trading e ostacolo all'atività di vigilanza della Consob, Fiorani deve rispondere anche di falsa dichiarazione a pubblico ufficiale. L'accusa lascia intravedere l'ipotesi di un arricchimento personale attraverso finanziamenti della sua stessa banca con il coinvolgimento di alcuni prestanome
19 settembre: dalla procura di Roma filtra la notizia che entro due settimane sarebbe stata decisa la data per la convocazione del governatore Fazio nell'ambito dell'inchiesta
29 settembre: si apprende che il governatore della Banca d'Italia è indagato sin dai primi giorni di agosto dalla procura di Roma per abuso d'ufficio nell'ambito dell'inchiesta su Antonveneta. Insieme al governatore, era indagato, sempre per abuso d'ufficio, anche il responsabile dell'area vigilanza, Francesco Frasca. Per la vicenda dell'Opa sulla banca padovana è indagato dalla procura di Roma anche Fiorani per i reati di falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo all'autorità di vigilanza. Indagato anche Giovanni Benevento, ex presidente della Popolare italiana
10 ottobre: il governatore Fazio viene interrogato dalla procura di Roma
12 ottobre: è indagato Silvano Spinelli, uomo di fiducia di Fiorani e, secondo gli inquirenti, suo prestanome
6 dicembre: indagato l'intero consiglio di amministrazione della Bpi, i componenti del comitato esecutivo e i sindaci per aggiotaggio sui titoli dell'istituto di credito lodigiano. È questo lo sviluppo del nuovo filone di indagine aperto circa un mese fa dai pm milanesi. Sotto inchiesta sono finiti il presidente Giovanni Benevento, il vice presidente Desiderio Zoncada, l'amministratore delegato Giorgio Olmo e i consiglieri Francesco Ferrari, Domenico Lanzoni e Domenico Zucchetti
7 dicembre: il presidente e amministratore delegato di Unipol, Giovanni Consorte, è indagato dalla procura di Milano, insieme al vice presidente della compagnia assicurativa, Ivano Sacchetti, per concorso in aggiotaggio. Secondo i pm milanesi, Consorte, così come il suo vice, avrebbero preso parte al rastrellamento concertato di titoli da parte della cordata della ex Bpl
13 dicembre: per Fiorani spunta anche il reato di associazione per delinquere. E un altro nome si aggiunge nella lista dei pm, quello di Ignazio Bellavista Caltagirone, titolare della Maryland Group, indagato per concorso in aggiotaggio, sospettato di aver fatto parte del concerto guidato dall'istituto di Fiorani.
Con questo diventano tre i filoni dell'inchiesta seguita dalla procura di Milano sulla scalata da parte della Bpl all'Antonveneta. L'associazione per delinquere si aggiunge all'aggiotaggio (che riguarda la diffusione di notizie che avrebbero provocato l'alterazione del prezzo delle azioni Antonveneta) e all'appropriazione indebita (secondo i magistrati, gli indagati avrebbero favorito i guadagni in Borsa di un gruppo di correntisti, che a loro volta avrebbero restituito in nero parte dei guadagni ai vertici della Bpi). Tra gli indagati dalla procura di Milano finisce anche l'europarlamentare dell'Udc Vito Bonsignore.

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Una sola «rete» per due scalate parallele in banca
Affari e Alleanze
Cinque mesi fa era ancora lì, al centro del campo, come Gianni Rivera. Gianpiero Fiorani è stato il regista, in alcuni casi palese, in altri occulto, delle più importanti vicende bancarie e finanziarie degli ultimi 18 mesi. Sappiamo oggi che mentre volava alto in pubblico, tra cardinali e governatori, mentre sfidava i capi di Abn Amro e mentre manovrava dietro le quinte di Bnl ed Rcs, in privato si spartiva il «bottino»: 40% a me 60 a te. È la banca nella banca, una specie di mafia interna. Poi però c’è la banca nel sistema. Qui Fiorani era un playmaker che godeva dell’indiscutibile stima e amicizia del governatore Antonio Fazio e che sfruttava il totale controllo della banca (l’assemblea di aprile l’ha riconfermato con 2.082 voti su 2.104). Su queste basi ha costruito un sistema di relazioni con due pilastri: il gruppo Gnutti e la Unipol di Giovanni Consorte. Si può dire, in sintesi, che ognuno è un importante socio dell’altro. Chi però ha deviato dalla propria missione è stata sicuramente la Popolare Lodi. 18-20 mesi fa Fiorani decide di giocare una sua partita e la trasforma di fatto in una holding finanziaria. Si mette in mezzo al campo e «adotta» Stefano Ricucci. È il momento in cui la cordata di immobiliaristi (Coppola, Ricucci, Statuto) guidata da Caltagirone sfida il patto Bnl. Tra le banche chi ci mette più soldi sotto forma di affidamenti (con pegno sui titoli) è la Popolare Lodi. Ricucci, Gnutti e Coppola sono i più foraggiati. Anche la Lodi compra Bnl. In settembre, al ritorno da un breve soggiorno in una beauty farm dell’Alto Adige, in compagnia del governatore Fazio, Fiorani prepara la campagna su Antonveneta. Manda avanti l’artiglieria (i conti-titoli di decine di amici-clienti) e poi a gennaio annuncia di aver superato il 2%. Subito dopo è Unipol a compiere la stessa mossa. Non ci vuole una sofisticata mente finanziaria per interpretare la coincidenza come un messaggio che suona più o meno così: a Lodi non sono soli. Poi su Antonveneta verranno allo scoperto i soliti Gnutti, Ricucci, Coppola e la squadra si riforma. Parte anche il tentativo di scalata alla Rcs e c’è sempre Fiorani in regia, mentre a consigliare Ricucci spunta il banchiere Ubaldo Livolsi, vicino a Silvio Berlusconi e anche consigliere della Hopa di Gnutti. Unipol resta fuori da questa partita e va all’affondo in Bnl. C’è chi sostiene che l’obiettivo finale fosse la fusione tra Lodi-Antonveneta e Bnl: Fiorani numero uno, Gnutti e Unipol grandi azionisti. È andata diversamente. Diceva il 19 luglio scorso Fiorani a Consorte in una telefonata intercettata: «Gianni, io mi sento sangue del tuo sangue...tu sai che io sono sempre pronto e disponibile e lavoro anche un po’ sott’acqua come tu hai capito bene....». E diceva Consorte a Fiorani: «Giampi devi fare due tre pensate su un presidente di prestigio (di Bnl, ndr)...che noi dovremmo avvicinare...».
Mario Gerevini mgerevini@corriere.it


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